Risotto The Show


di e con Amedeo Fago, e con Fabrizio Beggiato

Le tappe di un’amicizia, nata sui banchi del liceo, e che dura da più di
mezzo secolo, vengono ripercorse durante il tempo reale di preparazione di un risotto. Rievocando un passato remoto e prossimo si discorre di barbieri e di dentisti, di matrimoni e di separazioni, di politica e di sedute dallo psicoanalista: cronache minime di fatti e di ideologie. E intanto il risotto cuoce e un pò alla volta diventa simbolo di un rapporto di identificazione. Miscelata ai ricordi la descrizione, in diretta, dell’arte di cucinare il risotto, che ogni sera si aggiorna… con ingredienti diversi. Alla fine un colpo di scena, un rifiuto, una separazione… e il risotto resta, nella sua realtà di piatto squisito, a disposizione del pubblico, per un piacevole assaggio.

Note di regia
“…Il 24 settembre 1978, al teatro Politecnico di Roma, ho fatto un atto di pubblica Auto-ritratt-azione…” (da “Risotto”). Così, il 24 settembre 1978, ho iniziato la mia attività di autore teatrale. Dieci anni prima, per l’esattezza nell’aprile 1968, avevo lasciato crescere la mia barba. Una barba folta e fluente che, insieme ai capelli lunghi, mi dava quell’aspetto “sessantottino” che immediatamente veniva associato all’idea di contestatore, di ribelle, di provocatore. Negli anni successivi al “sessantotto”, come molti della mia generazione, vissi momenti di crisi profonda, e cominciai a cercare, nei meandri dell’inconscio, le ragioni di quel malessere che in molti prendeva la strada della follia, “la follia della rassegnazione e della non rassegnazione”. “…Il ’68 morì con il ’68; la rivoluzione culturale non aveva fatto un bambino, i giovani non erano riusciti a sognare. Addormentati nello stato di veglia scambiarono la realtà per un sogno e, non riuscendo a dormire davvero per aver abbandonato la realtà, scambiarono i sogni con la realtà. Dormienti ebbero paura della realtà esistente e l’aggredirono senza rifiutarla veramente, insonni, ebbero paura dei sogni e li negarono senza comprenderli…” (Massimo Fagioli – “Le notti dell’isteria”). Ho fatto questa citazione perché queste poche parole esprimono compiutamente lo stato d’animo che, dieci anni dopo il ’68, mi spinse a quel gesto teatrale di “Auto-ritratt-azione” durante il quale mi tagliai la barba, dopo aver sfogliato le agende di dieci anni, raccontato sogni e costruito castelli con carte da gioco. Fu, evidentemente, un’unica rappresentazione che, insieme alla presa di coscienza di un fallimento, esprimeva la possibilità di “una nascita umana come separazione da una realtà passata”.
“Risotto” è, in qualche modo, conseguenza e proseguimento del discorso iniziato con “Auto-ritratt-azione”. Un discorso che si articola su due diversi livelli: da una parte c’è un’idea di teatro e di  drammaturgia che mettendo in scena, senza “finzioni”, azioni reali e concrete (nel caso di “Auto-ritratt-azione” il taglio della barba, nel caso di “Risotto” il cucinare) sottolinea l’unicità e l’irripetibilità dell’espressione teatrale; lo spettacolo teatrale nasce e muore nell’arco di una sera, è tempo reale, è un pezzo di vita trascorso insieme dal pubblico e dagli attori; e in questo senso, il teatro più che il cinema, assomiglia al sogno; da un altra parte, nell’apparente minimalismo della storia, viene proposta la possibilità del “rifiuto” come strumento di cambiamento e di separazione dal passato. Il rifiuto nei confronti di un rapporto di identificazione, veicolato attraverso il cibo, e ossessivamente ripetitivo, libera i due protagonisti e restituisce al risotto la sua realtà e la sua dignità di pietanza squisita.
Amedeo Fago

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