Il canto del cigno

con Ugo Pagliai

di Anton Cechov

a cura di Tommaso Garré

consulenza artistica di Tommaso Pagliai

musiche a cura di Dario Arcidiacono

Svetlovidov, grande attore “mattatore” protagonista di opere immortali, vaga smarrito per un teatro di provincia, vinto dall’ebbrezza e dal bisogno di dimenticanza. Si chiede incessantemente dove siano finiti i giorni gloriosi in cui incantava il pubblico attraverso i suoi memorabili personaggi, mediante il dono della parola. È il logos, infatti, a trasmettere linfa antica e modernissima a questa pièce carica di spirito dionisiaco: all’energia nera della morte si contrappone un inequivocabile amore per le scene, per i tanti ruoli interpretati, una vocazione quasi sacerdotale per il valore curativo della parola recitata. In apertura il celebre brano del Fedone di Platone, dove si narra del reale senso del canto dei cigni, che non conoscono dolore per la propria dipartita, ma, al contrario, si concedono una manifestazione di gioia nel loro ricongiungersi al dio delle arti, della medicina, dell’intelletto e della profezia. Ugo Pagliai/ Svetlovidov, parimenti ai cigni, si concede qui un grido di giubilo, ritrovando Amleto e Otello, Falstaff e Boris Godunov e, soprattutto, Lear, suo grande cavallo di battaglia. Come in una lezione magistrale, Ugo Pagliai ci conduce nelle pieghe dei suoi sentimenti, degli amori più grandi, il Teatro e una donna, giovane e snella come un pioppo, rinnegando, in linea con l’autore, ogni possibilità di menzogna: “Si può ingannare la gente, persino Dio: ma nell’Arte non si può mentire

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