Camille

di e con Astra Lanz

tratto dalle lettere di Camille Claudel

musiche dal vivo di Saba e Leone Lanz

 

Camille – ideato ed interpretato da Astra Lanz, con musiche suonate dal vivo da Saba e Leone Lanz – è tratto dalle lettere scritte dalla scultrice francese Camille Claudel (1864-1943), prima e durante l’internamento in manicomio dove ha trascorso gli ultimi trent’anni della sua vita.
Camille Claudel, fu allieva, collaboratrice e amante di Auguste Rodin ma soprattutto interprete sottile e consapevole di un’arte che a cavallo tra Otto e Novecento aprì le porte alla modernità; immagine di una tipologia femminile che cercava la propria libertà, dirompente e totalizzante, allora poco compresa soprattutto da chi le stava più vicino. Camille è un caleidoscopio di immagini e suggestioni che ne vivifica la memoria, l’umanità, la bellezza, il daimon potente, esuberante e tragico della creazione artistica, le sue passioni, i confitti e le sue modalità di reagire alla vita.

Moi-même: me stessa di Marco Alessandrini, traduttore e curatore di Sono come Cenerentola per Via Del Vento Edizioni da cui sono state tratte le lettere di Camille.
«Del sogno che fu la mia vita, questo è l’incubo» Camille Claudel, Montdevergues, 1935 «I funerali sono stati molto dignitosi, come lei meritava». Così nel 1943 il cappellano del manicomio di Montdevergues scrive all’ambasciatore, poeta e drammaturgo Paul Claudel, dopo la morte della sorella. «[Qui] Era molto amata». Scompare così, abbandonata da tutti, Camille Claudel, internata da 31 anni in manicomio. Nella fossa comune, nessun nome: solo il numero di matricola. Tragico destino, sembrerebbe, per lei che da giovane aveva scritto: «Io non voglio essere aiutata, voglio essere riconosciuta». Eppure, la sua caparbietà alla fine ha vinto. Fin da ragazzina convinceva i familiari a posare per ciò che lei diventerà appassionatamente, ossia scultrice. E quando in manicomio, umiliata e sola, rifiuta di scolpire, allora indirizza a familiari e amici vibranti lettere. Scultura e scrittura, specchio di un’identica urgenza vitale, hanno portato perciò, a partire dagli anni ’80 e ’90 del Novecento, a riscoprirla, studiarla, celebrarla: a riconoscerla. Oggi non è ricordata infatti perché amante di Rodin, sedotta e abbandonata, né perché poi divenuta “pazza”, ma perché considerata una delle più straordinarie artiste vissute tra Otto e Novecento.
Per lei scolpire è esistere, senza risparmiarsi. In apparenza, sfida i pregiudizi della società: se già per le donne era disdicevole divenire artiste, esserlo come amante di Rodin la squalificava in più come sua “protetta”. Nei 14 anni della loro relazione, è invece ora evidente quanto la sua arte abbia influenzato Rodin, in un mutuo scambio in cui le opere di Camille si distinguono, potenti, per il sentimento tradotto in forme quasi liquefatte, non solo eccezionale anticipazione di ciò che sarà moderno (vedi Medardo Rosso, persino Giacometti), ma forma struggente di ferite affettive.
A Rodin aveva scritto: «C’è sempre qualcosa di assente che mi tormenta l’anima».
Assenza, mancanza. Quando lascia Rodin, avendo compreso che non abbandonerà Rose Beuret, conosciuta prima di lei e che gli ha dato un figlio (mai riconosciuto poi dallo scultore), si riapre un dolore in realtà antico riconducibile al rapporto con la madre. Basti pensare che, morto il padre, l’unico ad averla appoggiata e riconosciuta, di fronte allo scompenso psichico che la colpirà dopo aver perduto non solo Rodin, ma gli amici nel mondo dell’arte (e dunque le committenze e i guadagni), è la madre a firmare l’istanza di internamento in manicomio. E lì mai, né madre né sorella andranno a visitarla, rifiutando poi per ben due volte la proposta dei medici di dimetterla perché ormai mentalmente lucida. Quanto al fratello, la visiterà appena una dozzina di volte. La mancanza è connaturata a noi tutti, e se in Camille ha scavato, improvvisa, una faglia («paranoia delirante», la diagnosi d’ingresso in manicomio), è perché non solo la famiglia, ma la società intera la abbandonano, esclusa e isolata. Si ricordi infine che Camille, in francese, è nome neutro: senza un articolo determinativo, è maschile e femminile indifferentemente. Non è forse un caso che un anno prima della sua nascita era morto, neonato, proprio un maschio: un fratellino. Anche per questo sentiamo oggi Camille vicina. Gravata da un compito impossibile, colmare un vuoto e un lutto altrui, ha perseguito tuttavia sempre, persino reclusa in manicomio, la «sensazione di essere vivi, di essere se stessi» di cui parla lo psicoanalista Winnicott. A soli 24 anni, alla domanda «qual è il tuo artista preferito?», Camille aveva stupendamente risposto: «moi même», me stessa.

BIOGRAFIA
Camille Claudel nasce a Fère-en-Tardenois (Aisne, Piccardia) l’8 dicembre 1864 da Louise-Athanaïse Cerveaux e Luis-Prosper Claudel; questi, conservatore delle ipoteche, deve spostarsi con la famiglia in varie località francesi. Nel 1866 nasce la sorella Louise e due anni dopo, nella vicina Villeneuve- sur-Fère, il fratello Paul. Già dodicenne Camille modella con l’argilla le sue prime figure e viene seguita dallo scultore Alfred Boucher. Nel 1881 la madre e i tre figli, col benestare del marito che vuole favorire la vocazione della figlia, si trasferiscono a Parigi, dove Camille segue i corsi dell’Académie Colarossi e condivide con tre amiche inglesi (Amy Singer, Emily Fawcett e Jessie Lipscomb) il suo primo atelier. Nel 1882 vince il Prix de Rome e fa la conoscenza dello scultore Auguste Rodin, di ventiquattro anni più anziano di lei e già famoso. Probabilmente il rapporto amoroso fra i due inizia già l’anno seguente e nel 1884 Camille entra nell’atelier di Rodin come modella e come aiutante ma di fatto anche come musa ispiratrice, considerato l’evidente nesso tematico e compositivo di alcune opere di Rodin successive a quelle di lei. Nel 1885 realizza Donna accovacciata e Giganti (o Testa di brigante) e nel 1886 inizia il gruppo scultoreo Sakountala. Lo stesso anno è in Inghilterra dove trascorre il periodo più sereno della sua tormentata esistenza e nel 1887 in Touraine con Rodin. Nel ’90 i due soggiornano nel castello de L’Islette, dove lei vi tornerà l’anno successivo forse per abortire. I loro rapporti sono ormai compromessi ed è chiaro che Rodin non abbandonerà la compagna di una vita Rose Beuret. Nell’inverno ’90-’91 ha una relazione col compositore Claude Debussy, che conserverà sempre nel suo studio la scultura in bronzo di lei La Valse (1889-1905). Camille cambierà più volte di ateliers e realizzerà opere importanti per il taglio simbolista e modernista: Les Causeuses (’92-’97), Clotho (’93-’97), Le Dieu envolé (’94), L’Âge mur – 1a versione (’95), La Vague (’97), L’Implorante e L’Âge mur – 2a versione (’98), La Profonde Pensée (’98), Persée et la Gorgone (’97-1902), La Joueuse de flûte (1903- ’5), Vertumne et Pomone e L’Abandon (1905), Niobide blessée (1906). Malgrado i tentativi di Rodin di aiutarla sia economicamente sia promuovendola tramite le sue amicizie, le manie persecutorie di Camille si fanno sempre più stringenti e il 10 marzo 1913, otto giorni dopo la morte del padre, viene ricoverata nel manicomio di Ville-Évrard a nord-est di Parigi, e nel settembre 1914 in quello di Montdevergues, nei pressi di Avignone. Nel 1917 Rodin sposa Rose Beuret poche settimane prima che questa muoia e il 17 novembre dello stesso anno anch’egli scompare. Il 19 giugno 1929 muore la madre di Camille, senza che si sia mai recata in visita alla figlia. Solo il fratello Paul, scrittore e diplomatico, andrà qualche volta a trovarla. Camille muore in manicomio, dopo trent’anni d’internamento, il 19 ottobre 1943 e viene sepolta nella fossa comune del vicino cimitero di Montfavet. Nel 1951 si tiene nel Museo Rodin una prima mostra delle opere di Camille, a seguito della quale Paul Claudel lascia in donazione al museo cinque sculture. Ma è con la grande mostra che vi si tiene nel 1984 che la fama della scultrice si afferma definitivamente. Le esposizioni si moltiplicano così come i libri a lei dedicati ed anche i film. Nel 1988 il regista Bruno Nuytten gira il film Camille Claudel, con Isabelle Adjani e Gérard Depardieu, focalizzato soprattutto sul suo tormentato rapporto con Rodin, mentre nel 2013 il regista Bruno Dumont, gira il film Camille Claudel 1915, con Juliette Binoche e Jean-Luc Vincent, che si occupa interamente del suo lungo periodo manicomiale.

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